Anatocismo bancario - sentenza Cassazione sezione unite 2004

Le Sezioni Unite del 2004.

Nel 2004, le Sezioni Unite della Suprema Corte[1]sono state chiamate a pronunciarsi sul tema, a séguito di un ricorso di un istituto bancario ex l’art. 374, comma 2, c.p.c. (quindi, non in quanto vi fosse una questione di diritto decisa in senso difforme dalle Sezioni Semplici, stante l’univoco orientamento della giurisprudenza della Suprema Corte, a partire dal 1999, sulla nullità delle clausole anatocistiche, ma per l’essere “la questione di massima di particolare importanza”).

Il quesito sottoposto alle Sezioni Unite era il seguente: “se, incontestata la non attualità di un uso normativo di capitalizzazione trimestrale degli interessi a debito del correntista bancario, sia o non esatto escludere che un siffatto uso preesistesse al nuovo orientamento giurisprudenziale che lo ha negato, ponendosi in consapevole e motivato contrasto con la precedente giurisprudenza”.

Gli istituti di credito ritenevano, infatti, che, pur non essendo più esistente l’affermato uso normativo, venuto meno proprio con le note pronunce del 1999 (che avevano determinato l’impossibilità di considerare ancora esistente il requisito dell’opinio iuris ac necessitatis), tuttavia, per il periodo antecedente a tale pronunce, la consuetudine in discorso doveva considerarsi presente e produttiva di effetti giuridici, in quanto la stessa giurisprudenza ne aveva riconosciuto l’esistenza, contribuendo, così, alla convinzione della doverosità della prassi anatocistica.

Pertanto, le clausole anatocistiche, contenute nei contratti stipulati precedentemente all’anno 1999, dovevano considerarsi valide.

Le Sezioni Unite del 2004, ponendosi sulla scia della precedente giurisprudenza di legittimità (Cass., 18 settembre 2003, n. 13739, in Contratti, 2004, p. 556; Cass., 28 marzo 2002, n. 4490, in Danno resp., 2002, p. 894; Cass., 13 giugno 2002, in 8442, in Giust. civ., 2002, I, p. 2109; Cass., 22 aprile 2000, n. 5286, in Contratti, 2000, p. 878), affermavano come non fosse mai esistito un uso normativo, che, nei contratti bancari, consentisse la capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi; di conseguenza, le clausole anatocistiche, inserite nei contratti bancari, anche antecedentemente al 1999, dovevano intendersi nulle ex art. 1418, comma 1, cod. civ., per contrarietà alla norma imperativa di cui all’art. 1283 cod. civ.

 Le Sezioni Unite puntualizzavano che l’accettazione delle clausole anatocistiche, da parte degli utenti bancari, aveva sempre costituito una mera sottomissione a regole imposte unilateralmente dalle banche quali condizioni per accedere ai servizi bancari, secondo la logica del prendere o del lasciare. Di conseguenza, l’adesione alle clausole anatocistiche predisposte dalle banche non aveva mai dato luogo alla formazione di un uso normativo, difettando la convinzione, in capo agli utenti, che l’osservanza di tale comportamento costituisse un dovere (opinio iuris ac necessitatis). Né, peraltro, la giurisprudenza, precedentemente al 1999, aveva modificato la natura dell’uso praticato dalle banche, non potendo la stessa incidere sulla formazione di norme giuridiche.  

La successiva giurisprudenza si uniformava a tale pronuncia, dichiarando, costantemente, la nullità delle clausole anatocistiche, con condanna degli istituti di credito alla restituzione di quanto indebitamente percepito (Cass., 1° marzo 2007, n. 4853, in Giur. it., 2007, p. 1191; Cass., 22 marzo 2011, n. 6518, in CED on line, 2011; Cass., 3 maggio 2011, n. 9695, in Contratti, 2012, p. 43; Cass., 14 marzo 2013, n. 6550, in CED on line, 2013; Trib. Milano, 3 gennaio 2011, in Danno resp., 2012, p. 314; Trib. Palermo, 14 febbraio 2012, in Obbl. contr., 2012, p. 59; Trib. Perugia, 11 aprile 2012, in Pluris on line; Trib. Teramo, 18 marzo 2013, ivi; Trib. Treviso, 2 aprile 2013, ivi;Trib. Perugia, 23 aprile 2013, ivi).

 

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