La legge 26 febbraio 2011, n. 10 di conversione con modifiche del decreto legge 29 dicembre 2010

Le Sezioni Unite del 2010, nonostante qualche apertura alle tesi delle banche, avevano, quanto alle conclusioni cui erano giunte, confermato la precedente giurisprudenza.

Rimaneva, ancóra una volta, quale unica via per limitare l’incidenza delle soluzioni giurisprudenziali, quella legislativa, che non tardava a esser percorsa.

Come già accaduto nell’anno 1999, a fronte di un deciso orientamento giurisprudenziale, «un solerte legislatore, a pochi giorni dalla pronuncia sul punto delle Sezioni unite», giungeva in soccorso delle banche, utilizzando, questa volta, lo strumento dell’interpretazione autentica. Come, peraltro, già fatto in passato: tale strumento, infatti, era stato utilizzato, sempre in favore degli istituti di credito, in materia di usura dall’art. 1 del decreto legge del 29 dicembre 2000, n. 394, convertito con modifiche nella legge 28 febbraio 2001, n. 24, che poneva un’interpretazione autentica della legge 7 marzo 1996, n. 108, in materia di usura, disponendo che «ai fini dell’applicazione dell’art. 644 del codice penale e dell’art. 1815, secondo comma, del codice civile, si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, indipendentemente dal momento del loro pagamento». 

 Infatti, l’art. 2, comma 61, della legge 26 febbraio 2011, n. 10, che convertiva con modifiche il decreto legge 29 dicembre 2010, n. 225 «Proroga dei termini previsti da disposizioni legislative e di interventi urgenti in materia tributaria e di sostegno alle imprese e alle famiglie» (c. d. «decreto milleproroghe», su cui il Governo aveva posto la fiducia), con norma interpretativa dell’art. 2935 cod. civ., statuiva la decorrenza del termine di prescrizione del diritto alla restituzione delle somme indebitamente percepite dal giorno della singola annotazione, ponendo, in tal modo, una disciplina della prescrizione del tutto favorevole agli istituti di credito.

Testualmente: “in ordine alle operazioni bancarie regolate in conto corrente l’articolo 2935 del codice civile si interpreta nel senso che la prescrizione relativa ai diritti nascenti dall’annotazione in conto inizia a decorrere dal giorno dell’annotazione stessa». La stessa norma, in modo del tutto apodittico, affermava: “in ogni caso non si fa luogo alla restituzione di importi già versati alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto”.

La Corte costituzionale con pronuncia del 5 aprile 2012, a seguito di molte ordinanze di rimessione da parte delle corti di merito (Trib. Benevento, 10 marzo 2011, in Corr. merito, 2011, p. 569; Trib. Brindisi, sez. Ostuni, 10 marzo 2011, in Foro it., 2011, I, c. 1921; Trib. Lecce, 8 aprile 2011; Trib. Potenza, con tre ordinanze del 13 aprile 2011; Trib. Catania, 26 luglio 2011; Trib. Nicosia, 30 luglio 2011; Trib. Venezia, 13 aprile 2011), dichiarava illegittimo l’art. 2, comma 61, del decreto legge n. 225 del 2010, così come convertito con modifiche dalla legge 26 febbraio 2011, n. 10, per la violazione dei princìpi di uguaglianza e ragionevolezza, di cui all’art. 3 della Costituzione, e per la violazione del principio contenuto nell’art. 117, comma 1, della Costituzione, in relazione all’art. 6 CEDU.

In particolare, la Corte costituzionale evidenziava come non vi fosse alcun dubbio interpretativo in relazione all’art. 2935 cod. civ. e, in particolare, riguardo al dies a quo in materia di ripetizione degli interessi indebitamente percepiti dalle banche, in quanto, a fronte di un orientamento della giurisprudenza di merito «del tutto minoritario, secondo cui la prescrizione del menzionato diritto decorreva dall’annotazione dell’addebito in conto […], si era ormai formato un orientamento maggioritario di detta giurisprudenza, che aveva trovato riscontro in sede di legittimità ed aveva condotto ad individuare nella chiusura del rapporto contrattuale […]il dies a quo per il decorso del suddetto termine».

La Corte Costituzionale evidenziava, altresì, che il legislatore, piuttosto che interpretare la norma di cui all’art. 2935 cod. civ., aveva derogato apertamente ad essa, facendo decorrere il dies a quo della prescrizione da un momento diverso rispetto a quello in cui il diritto poteva essere fatto valere: «la norma censurata, lungi dall’esprimere una soluzione ermeneutica rientrante tra i significati ascrivibili al citato art. 2935 c.c., ad esso nettamente derogava, innovando rispetto al testo previgente, peraltro senza alcuna ragionevole giustificazione». Invero, il diritto alla ripetizione dell’indebito oggettivo postula un pagamento che nell’àmbito del conto corrente si configura solo all’atto del chiusura del conto.

La dichiarazione della Corte costituzionale dell’aprile 2012 riportava indietro le lancette» alle Sezioni Unite del 2010.